SCOTTATI MA NON BRUCIATI
Singed But Not Burnt – Bruciacchiato se vuoi, ma mai bruciato – è il titolo di un bellissimo libro e di una mostra che raccontano quarant’anni di scatti di Shahidul Alam, fotogiornalista bangladese, una vita in splendido equilibrio fra arte e attivismo politico.
Ancora una volta in questi mesi Shahidul esce scottato ma non bruciato dal suo sguardo implacabile sulle violazioni dei diritti umani (nel 2018 ha anche subito il carcere e le torture). E come lui, tutti quanti noi che rischiamo l’infamia dell’antisemitismo perché critichiamo la classe dirigente di Israele e la sua strategia scellerata.
Ecco cosa è accaduto a Shahidul: la Biennale tedesca di Fotografia Contemporanea 2024, di cui da un anno stava preparando i lavori come curatore, è stata cancellata – cioè non avrà più luogo – perché si è rifiutato di correggere la sua rotta nei commenti sulla situazione di Gaza. Né i due co-curatori hanno accettato di continuare il lavoro senza di lui.
Antisemitismo è l’accusa che si è guadagnato Shahidul Alam, uomo dell’anno per Time nel 2018, autore, pluripremiato in tutto il mondo, di meravigliosi e indispensabili servizi fotografici di denuncia.
E la cosa amaramente non ci meraviglia.
La vicenda apre un riflettore, semmai ce ne fosse bisogno, sul rapporto irrisolto fra la Germania e il suo passato nazista; e, ancor più in generale, sul concetto di antisemitismo e le sue strumentalizzazioni vergognose.
Su tutte valgano le parole di Masha Gessen, giornalista ebrea russo-statunitense, che recentemente ha ricordato come, nel 1948, Hanna Arendt paragonò, in una lettera aperta, un partito israeliano (coinvolto nel massacro del villaggio palestinese di Deir Yassin) al partito nazista. Albert Einstein, altro ebreo tedesco sfuggito al nazismo, aggiunse la sua firma. A nessuno venne in mente allora di usare il termine antisemitismo per il loro pensiero. Quando invece oggi l’accusa rimbalza, facile e diretta, sfidando il ridicolo, perfino fra ebrei stessi che discutono della politica di Israele.
Masha Gessen, nell’articolo (uscito sul NewYorker e in traduzione su Internazionale), contesta le linee guida per definire l’antisemitismo poste nel 2016 dall’ IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance). A queste, nel 2020, si è opposta inutilmente a “Dichiarazione di Gerusalemme”, scritta da un gruppo di accademici, fra cui stimati e ortodossi studiosi dell’Olocausto, che pone il (facile) confine fra dichiarazioni anti-israeliane e quelle antisemite.
Come la Germania distorce la sua cultura della memoria, con un apparato burocratico di “commissari” per l’antisemitismo, non viene messo in discussione. Anzi, è dilagato in tutto il mondo occidentale.
(foto: donna vota in un seggio elettorale, S.Alam 1991)