La giustizia è sociale: bisogna essere menti ben cattive per volerla umana e sensibile
Così Anatole France, un autore che oggi riscopro ritrovando i libri della nonna in fondo alla biblioteca. Il suo “Crainquebille” (1901) fu uno dei più bei contributi letterari alla causa di Dreyfus dopo il “J’accuse” di Émile Zola. Ancora oggi, mi pare un’ottima lettura per chi cerca una logica nell’errore giudiziario.
Crainquebille è un povero ambulante, accusato ingiustamente di offese da una guardia, condannato in un processo in cui non è in grado di difendersi (“Nella sua coscienza, non si credeva delinquente; ma sentiva quanto fosse povera la coscienza di un venditore di ortaggi di fronte ai simboli della legge e ai ministri della vendetta sociale”, pag 7 ediz. Barion 1926); e, una volta libero, bollato e rifiutato da tutti per conformismo sociale.
Nei due film e nella realizzazione teatrale successivamente tratti da questa storia, Crainquebille viene salvato dalla misericordia di un monello. Nel suo racconto, A. France non concede nessun lieto fine. Per lui la giustizia rimane un’ossessione. “La giustizia è la sanzione delle ingiustizie dominanti”, scrive feroce in Crainquebille.
Nei fatti, egli vuole mostrare quanto sia arduo che la giustizia si realizzi nella normale pratica giudiziaria.
“Bisogna dar lode al giudice” fa commentare a un personaggio del libro, “di essersi saputo difendere dalle inutili curiosità della mente e per essersi schermito da quell’orgoglio intellettuale che vuole tutto sapere. Ponendo di fronte l’una all’altra le due deposizioni contraddittorie, il giudice si sarebbe messo su una via sulla quale si incontrano solo il dubbio e l’incertezza. Il metodo che consente di esaminare i fatti secondo le regole della critica è inconciliabile con la buona amministrazione della giustizia. Se il magistrato commettesse l’imprudenza di seguire questo metodo, i suoi giudizi dipenderebbero dalla sua personale sagacia, che spesso è piccola, e dalla imperfezione umana, che è costante.” (pag 19 ibid.)
E oltre, ancor più sardonicamente: «La giustizia è sociale: bisogna essere menti ben cattive per volerla umana e sensibile. Si deve amministrarla con regole fisse e non coi turbamenti della carne o coi lumi dell’intelligenza. Soprattutto, non le chiedete di essere giusta; essa non ha bisogno di esserlo, perché è giustizia, e vi dirò anzi che l’idea di una giustizia giusta ha potuto allignare solo nel cervello di un anarchico.” ( ibid. pag 23)