La distribuzione non ha misericordia
Sappiamo che l’arte, inserita in un circuito commerciale, riesce a farsi capire quando inciampa nell’universale o – più facilmente – in un minimo comune denominatore che soddisfa tutti. Ma se il circuito commerciale la espelle prima di darle una possibilità di girare, di essere discussa, di muoversi fra la gente, come quella materia viva che è e dev’essere, allora è condannata senza giudizio.
Capita all’ultimo film di Emma Dante, “Misericordia”, ripudiato dalla distribuzione dopo lo scarso successo del primo weekend di programmazione.
“Misericordia” è uno di quei film che, in piccole salette affollate, a fine visione lascia il pubblico attonito, incapace di alzarsi dalla sedia prima dell’ultimo titolo di coda: vuoi per l’emozione, vuoi semplicemente per rispetto.
Un film che regala momenti di poesia indimenticabile, nell’immagine di un corpo che danza nudo fra le macerie e l’immondizia, derviscio rotante in una gioia inconsulta, nella visione, nel tormento, nell’incubo; capace di chiudersi in una gabbia di fili variopinti di lana e poi giocarci dentro, continuando a danzare fra l’uno e l’altro, sapendo già di non potersene liberare (l’attore è il danzatore Simone Zambelli, uno di quelli per cui per cui non è tanto importante mostrare come si muove, ma cosa lo fa muovere).
La poesia dell’amore traboccante delle puttane, donne senza salvezza in un luogo di degrado, violenza e miseria, dove il ragazzo che danza è l’unico – lui, l’anormale, l’incapace, il ritardato mentale – che può sperare di modificare il suo futuro.
La poesia di un luogo fra il mare e una montagna che, quando la terra mostra tutto il suo orrore, trema e precipita sugli uomini atterriti.
“Il film non può resistere in sala perchè non ha entusiasmato? Ma un tempo il cinema d’essai, anche con le sale vuote, si difendeva con le unghie e con i denti. Ora, o fai il tutto esaurito in pochissimo tempo o sei morto”, scrive oggi Emma Dante, che sta lottando per salvare la sua creatura. E pleonasticamente si chiede: “Possibile che l’assenza di nomi altisonanti o produzioni potenti debba generare un oblio così immediato e ingiusto?”