Il farsi di un processo come il farsi di un film: ovvero l’arte di costruire un mondo intorno a una storia
Su Sky Atlantic è arrivata ”The Staircase – Una morte sospetta”, serie true crime in 8 episodi che riprende un caso giudiziario americano divenuto famoso grazie all’ottima serie documentaria francese “The Staircase” del 2004.
Michael Peterson, scrittore e aspirante politico, una sera chiama il numero dell’emergenza raccontando d’aver trovato la moglie morta in fondo ai gradini di una scala della casa. Viene accusato dell’omicidio e fra alterne vicende trascorre otto anni in carcere.
Peterson sviluppò in quegli anni un rapporto personale con il registra Jean-Xavier de Lestrade e questo consentì riprese che diedero a quel documentario una forma rivoluzionaria. Ora ha concesso ad Antonio Campos di raccontare di nuovo la sua storia in una lunghezza maggiore.
Di interessante questa nuova versione ha che non mette in scena solo il caso giudiziario, ma anche, parallelamente, le riprese di quel documentario. Riuscendo alla fine nell’intento, secondo quest’articolo del New Yorker, di mostrare al pubblico quello che è il processo di trasfigurazione degli accadimenti in una narrazione. Anzi: riuscendo di fatto a suggerire, nel continuo parallelo, un’equivalenza fra il farsi di un film e il farsi di un processo come veicoli di storytelling, cioè di creazione di mondi.
Ma “The Staircase – Una morte sospetta” non mira a convincere dell’innocenza o della colpevolezza di Peterson (interpretato da Colin Firth). Ci mostra elementi del suo carattere a volte come innocui (chi non ha un parente con la fedina penale non immacolata, o con problemi di alcolismo, o con una vita sessuale segreta?), a volte invece come chiari presagi di quel che accadrà.
Raccontando la storia su diversi piani temporali, mostra la vittima più volte sia viva che morta, e il marito di volta in volta egoista e sensibile, risoluto e passivo. E ci mostra Peterson che uccide la moglie dopo la scoperta delle relazioni omosessuali di lui; e un’altra volta ci mostra la donna che cade ubriaca accidentalmente per le scale.
E’ in scena una coppia a volte tribolata a volte appassionata, capace di godersi una scopata improvvisa in cucina come di litigare sulle bollette. In cui uno di loro può minacciare il divorzio la mattina e condurre felice le danze in un galà la sera stessa.
Insomma Campos crea una possibile negazione della colpa di Peterson non per portarci fuori strada, ma per mostrarci la natura scivolosa dei rapporti di coppia.
Alla fine, la scala in fondo alla quale giace accartocciata nel sangue la vittima non è più semplicemente una scena del crimine, ma può essere letta come una metafora enscheriana.
E anche il racconto della love story fra un’assistente di quel primo documentario e Peterson assurge a qualcosa di mitologico: a simboleggiare la relazione proibita fra l’artista e il suo soggetto, e come tale destinata al fallimento.