“Come editore posso testimoniare che anche grandi recensioni piene di elogi producono solo poche decine di copie vendute in più”
Ho pensato di aggiungere al dibattito sulle recensioni letterarie, vere o false, di scambio o meno, le parole decise che Sandro Ferri (e/o) ha dedicato al marketing dell’editoria nel suo “L’editore presuntuoso”.
Ferri riconosce solo a due istituzioni diversissime fra loro, che anzi vanno in direzioni opposte, la capacità di muovere i lettori: il Premio Strega (“i cui piccoli intrighi e pettegolezzi muovono la curiosità”, e comunque sempre “capace di creare un certo battage attorno al processo di selezione e poi di eliminazione dei candidati”) e il Salone del Libro di Torino (luogo dove spira “un’aria democratica, non la sensazione di trovarsi in un territorio dominato da conventicole” e il pubblico “può apprezzare la diversità delle voci e il pluralismo culturale” e “scegliere in autonomia”).
Uscendo un po’ fuori dal tema principale (ma non tanto), vale la pena ricordare l’episodio con cui Ferri chiarisce bene qual è la posta in gioco nel dominio eccessivo del marketing nell’editoria:
“In una recente riunione della rete commerciale di un editore in un paese straniero” scrive Ferri, “un manager a capo dei rappresentanti ha detto all’editore che presentava un suo libro: cosa potete fare per spingere i lettori a entrare in libreria e chiedere questo vostro libro? Non ha voluto sapere di cosa parlava il libro, chi era l’autore, perché era una lettura attraente. Non gli interessavano queste cose. Voleva solo essere informato su come l’editore avrebbe spinto un congruo numero di acquirenti a chiedere quel libro ai librai.”
Ma “non si crea una comunità di lettori solida e duratura”, conclude Ferri, mandando in libreria la gente a colpi di marketing.