Che fa la signora che piange nell’angolo? Processo al “trauma plot”
Gli scrittori amano troppo i personaggi con un trauma. E anche il cinema non riesce a resistervi.
All’inizio c’è una signora che piange nell’angolo opposto. E l’originalità della trama non conta niente se lo scrittore non riesce a portare alla luce l’infelicità di quella donna, diceva Virginia Woolf. Un romanziere inglese classico poteva descriverla come un’eccentrica, piena di verruche e di nastri. Un russo, trasformarla in un’anima libera che vagava per le strade, ponendo qualche insostenibile domanda sulla vita.
Chi è invece oggi “la signora che piange nell’angolo” e all’inizio vedi appena di profilo, risvegliando le immaginazioni e plasmando il destino della fiction? E’ un personaggio concentrato, anzi rapito da se stesso, che emana il profumo di un non meglio specificato danno. Un personaggio paralizzato, che getta gli altri in confusione, incline a improvvisi silenzi e imprevedibile reattività. Fin quando c’è un improvviso strappo nella sua compostezza e la sua storia passata salta fuori, in confessione o in flashback..
Parul Sehgal, giovane e pluripremiata critica letteraria di origine indiana approdata da poco al New Yorker, vede negli ultimi vent’anni il dominio della “trama del trauma” sulla pagina e sullo schermo. E la trova troppo abbondante e a buon mercato.
“Se i greci hanno inventato la tragedia, i romani l’epistola e il Rinascimento il sonetto”, scriveva Elie Wiesel, “la nostra generazione ha inventato una nuova letteratura, quella della testimonianza”. E la Sehgal nota che la consacrazione della testimonianza nelle memorie, nella poesia intimistica, nei racconti di sopravvissuti, nei talk show, ha elevato il trauma a fonte di autorità morale, addirittura a una sorta di competenza: anzi, a un passaporto per lo status.
Da Karl Ove Knausgaard al personaggio di Ted Lasso, dai riadattamenti di Macbeth a quello di ‘Anna dai capelli rossi’, ovunque si sente la necessità di uno o due abusi del passato che ritornano in flashback nervosi.
Eppure “la personalità non è sempre stata resa come lo sfregamento a matita della storia personale” e i registi del cinema hollywoodiano classico erano ben capaci di dar vita ai loro personaggi senza portentosi flashback di tormenti formativi.
“La trama del trauma appiattisce, distorce, riduce il carattere a sintomo”, conclude la Sehgal. La trama del trauma dimentica “il piacere del non sapere, le dimensioni non scritte della sofferenza, le strane spigolosità della personalità”. E, soprattutto, il fascino e la necessità di un solo dettaglio che lasci al lettore la ricostruzione della storia.